Cingolani: per convivere con i robot serve una maturazione intellettuale e sociale
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Si dice che la parola robot sia stata usata per la prima volta dallo scrittore ceco Karel Çapek nel suo romanzo R.U.R. del 1920, e anche se è esistono dubbi sulla sua paternità, quel che è certo è che in questo romanzo, dove i robot di una catena di montaggio costruivano altri robot, per la prima volta viene evidenziato il pericolo che un giorno gli automi possano soppiantare l’uomo. A distanza di quasi un secolo, e dopo che per anni la fantascienza ci ha abituati ad un immaginario di androidi che si ribellano e diventano la razza dominante, l’inarrestabile diffusione dell’intelligenza artificiale in ogni settore tecnologico, riaccende nell’uomo antichi timori, in realtà mai sopiti. Ma se difficilmente si può negare che l’automazione porta ad una riduzione dei posti di lavoro, è un po’ più difficile pensare che una macchina di intelligenza artificiale di dimensioni ridotte possa avere un’intelligenza paragonabile a quella del cervello umano – spiega Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia, nel suo libro “L’altra specie. Otto domande su noi e loro” (Il Mulino, 168 p., € 14,00). Noi esseri umani abbiamo un’intelligenza individuale molto sviluppata e siamo quindi caratterizzati da un grande individualismo. L’altra parte, quella dei robot, è composta da un grande cervello centrale e tanti corpi con un’intelligenza individuale molto piccola. E’ difficile pensare che in futuro le macchine potranno competere con l’armonia biologica dell’uomo che si è creata con tre miliardi di anni di evoluzione. Per convivere con l’intelligenza artificiale serve una maturazione intellettuale e sociale: è importante rendersi conto che si ha a che con strumenti molto complessi, che certamente sono utili, ma se male utilizzati possono provocare gravi danni – conclude Cingolani.