Reportage09/07/2017

Alternanza scuola-lavoro. Fra buone pratiche e abusi, prove di dialogo fra scuole e aziende

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Questa estate li si vede dappertutto: nelle anagrafi, nelle biblioteche, negli ospedali, ma anche fra i tavoli dei Mc Donald's. Sguardo un po' sperduto, spesso un po' annoiato, non si fa fatica a riconoscerli. E' l'esercito degli studenti chiamato a fare l'alternanza scuola-lavoro, come previsto dalla legge 107 della Buona scuola: 200 ore obbligatorie nel triennio nei licei, 400 ore nei professionali e negli istituti tecnici.
Tante ore per delle scuole (soprattutto i licei) non abituate ad avere rapporti con il mondo del lavoro.
Un milione e mezzo gli studenti che nel prossimo anno scolastico (anno in cui la riforma entrerà a regime per tutto il triennio) saranno spediti ad assaggiare un'esperienza, come è giusto che sia in un paese dove i giovani spesso arrivano alla laurea senza aver mai messo piede in un ambiente lavorativo.
E allora si sta vedendo di tutto: dirigenti scolastici in difficoltà che invitano le famiglie a darsi da fare e piazzare i figli nell'ufficio dell'amico, scuole di lingue all'estero che, annusato il business, offrono pacchetti di lezioni e settimane lavorative più o meno ben costruite, ma sicuramente care.
Un sistema che va dunque messo a punto. Il ministro del lavoro Poletti promette da settembre 300 tutor che aiutino scuole e aziende ad incontrarsi, si spera che arrivi presto un registro di istituti e aziende disposti ad accogliere i ragazzi.
In molti casi si fa l'esperienza direttamente a scuola, con l'aiuto delle aziende.
Così è successo all'Istituto tecnico Giulio Natta di Bergamo che è stato premiato come miglior progetto di alternanza. La dirigente scolastica Maria Amodeo ha raccontato come ha funzionato, al microfono di Alessio Maurizio.

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