Radio Next16/09/2018

I Millennial e il lavoro: opportunità o costo?

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Proseguiamo la nostra indagine sui Millennials , la generazione nata tra i primi anni ottanta e gli anni duemila, con un’intervista a Vittorio Veltroni, Principal di Heidrick & Struggles per il Media, la Tecnologia e il Digitale. Volevamo farci dire, dalla voce di chi cerca per professione i talenti da inserire in azienda, se questi professionisti, alcuni giovani altri un po ‘ meno ormai, fossero una risorsa, un’opportunità o un problema per le aziende.

 

Dalla chiacchierata emerge un panorama non propriamente esaltante: il digital è considerato per la maggior parte degli imprenditori e manager come una seccatura, una attività spesso non compresa, di cui non si può farne a meno ma che non genera valore. Ergo, meglio relegarla in un angolo in modo che non faccia troppi danni.

Ma perché sono coì importanti i Millennials? Perché, per la loro fascia di età, rappresentano oggi due perni fondamentali del sistema organizzativo aziendale: le nuove leve, il cui ingresso nel mondo del lavoro dovrebbe portare idee, modelli, metodologie di nuovo stampo e i nuovi manager, che dovrebbero guidare le aziende verso il cambiamento. Questa generazione si sta dannando l’anima per cercare di accreditarsi. Lo vediamo tutti i giorni nelle aule delle business school, a partire da quella de Il Sole 24 Ore , in cui giovani neolaureati si impegnano per un anno intero tutti i giorni per cercare di colmare il gap culturale che la scuola ha generato sul digitale; e lo stesso vale per i loro omologhi della parte più alta della forchetta, i professionisti vicino ai 40, che sentono il bisogno di approfondire ed impadronirsi di una competenza che in azienda manca, attraverso gli executive master .

Non ci può essere trasformazione - su questo punto io e Vittorio Veltroni abbiamo posizioni differenti - senza una chiara accountability e volontà di prendersi rischi. Perché - e qui invece torniamo ad essere in perfetta sintonia - ‘fatto è meglio di perfetto’ (“done is better than perfect”, nell’accezione anglofona).

 

E se è vero che i millennial in Italia non se la passano bene, in quella che spesso viene vista come la patria delle opportunità, stanno peggio: non per le opportunità, che certo non mancano a differenza di casa nostra, quanto per i costi di istruzione: in media un laureato americano si porta con se per gran parte della sua vita lavorativa un debito medio di 150.000 USD. L’articolo di Enrico Verga sul Sole 24 Ore è un’ottima fonte informativa a tale proposito. Ciò non toglie che tanti dei nostri talenti lasciano il nido per emigrare. Perché, se poi i problemi sono gli stessi? Perché sono spesso più preparati, hanno voglia di emergere e sfruttano le opportunità offerte in altri Paesi. Come in Estonia , dove il governo sponsorizza la ricerca e l’assunzione di professionisti capaci e in gamba provenienti da altri Paesi. O l’omologo del nostro ICE in Irlanda che defiscalizza l’assunzione di giovani stranieri, la cui lingua e cultura possano agevolarne l’export.

 

Attirarli, catturarli e mantenerli: il mantra e al contempo l’incubo dei responsabili delle risorse umane. Ma come? Vittorio Veltroni indica una strada: condividere e costruire con loro un percorso chiaro di carriera, che dia visibilità della crescita e chiari obiettivi e responsabilità. E ai Millennial Veltroni dice: specializzatevi, siate i migliori in qualcosa. Ma non perdete la visione d’insieme.

 

La prossima settimana concluderemo questo trittico dedicato ai Millennial con l’intervista a Federico Capeci , CEO Italy Kantar Insights Division e Chief Digital Officer di TNS, nonché autore di Post Millennial Marketing, un libro dedicato proprio alla relazione con i Millennial.

 

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