07/06/2018

Serhiy Zhadan. La mia Mesopotamia, città del cuore

I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue europee, ora appare in italiano per l’editore Voland ...

  • di Gigi Donelli

I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue europee, ora appare in italiano per l’editore Voland il suo Mesopotamia . Nella terra tra i due fiumi non c’è però l’Oriente, ma la sua Kharkiv, Ucraina orientale, balcone sulla guerra del Donbass. Venerato in patria come una vera e propria rockstar, è anche una rockstar, front-man della band “Sobaky v Kosmosi” (I cani nel Cosmo). Serhij Zhadan (si legge serghi jadan ) lo ha incontrato Gigi Donelli…

 

Portavoce di una generazione che, nonostante la lentezza dei cambiamenti nel proprio paese, guarda ancora fiduciosa all’Europa ed è orgogliosa della propria “ucrainità”, Zhadan è originario di Starobilsk, cittadina nella regione orientale di Luhansk, a dieci chilometri dal confine russo. Zhadan scrive rigorosamente in ucraino e parla di preferenza questa lingua. A chi gli fa notare che nell’Ucraina dell’Est tutti si esprimono in russo, lui replica con pacatezza che questo è uno stereotipo e che la sua famiglia ha sempre preferito l’idioma nazionale a quello dei soviet.

 

Nonostante la sua fama abbia da tempo varcato i confini della sua Kharkiv, dove risiede da più di 20 anni e dove all’epoca della Rivoluzione Arancione organizzò le manifestazioni di piazza, Serhyi lo potresti tranquillamente confondere con uno dei tanti studenti universitari che, seduti sulle panchine dei giardini Shevchenko, addentano fumanti pirozhki tra una lezione e l’altra. Anche perché Zhadan, un po’ per la sua aria da bravo ragazzo, un po’ per l’aspetto da adolescente, non dimostra affatto le sue trentanove primavere. E fai davvero fatica a credere che lui, con quell’aria mite e riservata, scriva di zapoy (abusi alcolici) dentro vagoni ferroviari come l’altro kharkiviano d’adozione Eduard Limonov. Quel Limonov che, nonostante le sue posizioni politiche anti-ucraine, Zhadan considera da un punto di vista letterario un vero e proprio maestro.

 

Prima di Mesopotamia, dello stesso autore è stato pubblicato in italiano Depeche Mode e, nel 2016, La strada del Donbas .Leggendo alcune pagine di  Depeche Mode , non è difficile trovare alcune assonanze con il controverso scrittore russo. Gli scenari di periferia, funzionali all’economia narrativa di questo libro che ritrae sogni, speranze, illusioni e disillusioni della gioventù di Kharkiv all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, rimandano, in un inevitabile gioco di intertestualità, proprio alla Kharkov khruscioviana descritta da Limonov in Podrostok Savenko. Ma sarebbe fuorviante considerare Zhadan un epigono dello scrittore russo. Serhiy infatti non è solo un brillante romanziere, ma anche un raffinato poeta capace di fondere nei suoi versi tradizione e modernità. Kerouac e Skovoroda, Semenko e Ginsberg.

Per Zhadan, sono sue parole, non esiste una distinzione netta tra prosa e poesia, perché fanno entrambe parte di uno stesso universo. Sarà per questo motivo che il ragazzo di Starobilsk, sempre alla ricerca di nuove forme espressive, si è cimentato con successo anche nella scrittura di sceneggiature per il cinema e, in omaggio ai suoi amati Depeche Mode, nella stesura di testi di musica rock per la band “Sobaky v Kosmosi”.

L'INTERVISTA

Mesopotamia è una metafora, attraverso la quale volevo scrivere di cose semplici, cose che accadono ogni giorno, cose che però nascondono gli aspetti importanti della nostra vita. Volevo rendere la realtà attraverso uno sfondo…quasi mitologico.

L’idea di Mesopotamia nasce dalla geografia: io già da 27 anni abito a Kharkiv, una grossa città del nordest dell’Ucraina. Il centro storico è cresciuto tra due fiumi. Alla confluenza tra due corsi d’acqua.

Ho costruito anche il racconto così. Da una parte c’è una geografia reale. Dall’altra i miei personaggi. Ho cercato di raccontare la città attraverso una serie di metafore e attraverso il linguaggio della letteratura classica.

Ecco dunque il perché della mia Mesopotamia. Che si trova all’est dell’Europa. Questo è un libro che racconta anche la storia di una città che mi sta a cuore.
Un capitolo per ciascun un personaggio. Perché ha scelto questo approccio per raccontare la "sua Mesopotamia"?
Ho sempre amato osservare Kharkiv. Come va avanti, come si trasforma, come evolve. Alla fine il personaggio principale è proprio la città: un luogo che ha la sua personalità, i suoi complessi e anche i suoi traumi. 
Kharkiv è una storia, piena di forza, di ferite e di complessi. Cento anni fa, quando i bolscevichi sono entrati in Ucraina, Kharkiv è diventata la capitale, e lo è stata per alcuni anni. E' accaduto negli anni '20 e '30 del Novecento. Un tempo molto drammatico per tutto il nostro paese. In seguito la capitale è stata nuovamente spostata, a Kiev. Per Kharkiv è stata una decisione traumatica.
Ho dunque deciso di raccontare la città attraverso i personaggi che la abitano. E allo stesso tempo fare l'esatto opposto. Sono sempre stato colpito da come i paesaggi influenzano le persone. Credo che il fiume, l'acqua, influiscano sulla personalità e sulla la vita quotidiana delle persone. Ma anche la nostra linea della metropolitana – una grande linea storica – che orienta la vita quotidiana.
La convivenza tra persone e città: è qualcosa che mi affascina. E questo vale soprattutto mentre osservi il tutto all'interno di un breve periodo storico. Io ricordo perfettamente la Kharkiv degli anni '80, nell'ultima fase dell'era sovietica. Era una grande città industriale. Una città orgogliosa. Mentre negli anni Novanta – dopo la fine dell'Urss - era invece una città depressa travolta dai problemi sociali. Oggi, infine, Kharkiv è una città che torna a vivere. Anche grazie ai 400mila studenti che la animano. Tutta questa trasformazione è avvenuta in soli 30 anni.
Kharkiv oggi è anche una città delle scelte. Nell'estremo est dell'Ucraina, 40 chilometri appena – a nord -  c'è la frontiera con la Russia, mentre ancora più a est – 150 km al massimo – c'è il Donbass con la sua guerra che da 4 anni lacera i rapporti con Mosca. Anche lei Zadan è originario di quella parte del paese, di Lughansk, la città che con Donetzk fa parte dell'area separatista. Kharkiv è oggi una scelta.

Io credo che Kharkiv sia proprio l'esempio di un'Ucraina multiculturale. Un luogo che sta proprio nel mezzo tra Kiev, Mosca, il Caucaso e la Crimea. Abbiamo persino una grossa comunità vietnamita, e poi cinesi e molti studenti africani. Ci sono asiatici e caucasici.
A me Kharkiv ha ricordato Trieste. Una grande città di transito tra mondi diversi che però – oggi come allora Trieste – si trova bloccata, chiusa, intrappolata.
Infatti il carattere della città è dato dalla gente che ci abita.  La presenza degli immigrati e degli sfollati influisce in maniera decisiva sulla sua personalità. Nel 2014, quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, sono arrivati migliaia di sfollati del Donbass.  
E non credo che i nuovi arrivati abbiano trovato un clima ostile. La nostra è una città molto tollerante e aperta, dove possono vivere persone diverse, per cultura, regione, provenienza.
E' forse per sottolineare questa natura tollerante della sua città che ha voluto che Marat - un uomo di chiare origini caucasiche – fosse il primo personaggio della sua galleria urbana?
No, è stato un caso in realtà. Ci tenevo piuttosto far notare come tutti i personaggi di questo libro siano tra loro diversi.  A Kharkiv incontro ceceni, georgiani, tatari di Crimea, ebrei. E in questo senso è vero che la mia città ricorda il porto di Trieste. E' una città portuale, senza il mare.
Kharkiv è una città ucraina e filo-ucraina. Ma allo stesso tempo multiculturale. Io adesso abito nella zona dell'Università di medicina.  Una zona abitata da tantissimi studenti stranieri. Mi sono abituato a vedere ogni giorno studenti arabi, asiatici, africani. E aggiungo che non ci sono seri problemi di convivenza.
Roma, uno dei personaggi che incontriamo nel suo libro è anche il protagonista del brano musicale intitolato Listopad che lei – Serghi Jadan, porta in scena con il suo gruppo musicale. <<I cani nello spazio>>. I suoi lavori nascono dalla scrittura, dalla musica, dalla poesia?
Nascono tutti insieme. E a dirla tutta questo libro nasce da una poesia, Marata, che diventa racconto e poi brano musicale. Infatti ho capito dopo aver scritto la poesia che di Marata c'era tanto altro da dire. E dunque ho scritto il racconto come fosse un commento alla poesia. E questa modalità l'ho poi estesa ad altre poesie, e ad altri racconti. E infine, con i ragazzi della band, abbiamo deciso di trasformare alcune poesie in canzoni.  E c'è anche un racconto che è diventato un cortometraggio! (sorride). E persino una pièce teatrale!
Ma non è ancora finita perché qualche mese fa gli studenti della facoltà delle Arti di Kharkiv ne hanno fatto un video-book e una mostra che hanno portato a Monaco di Baviera. Alla fine mi sembra che questo libro abbia una vita propria, e questo è qualcosa che rende molto felice. Assomiglia ad un figlio che ormai è cresciuto, esce di casa e prende la sua strada e tu lo guardi con orgoglio ma senza più dovere intervenire su di lui. E adesso sono molto felice che sia uscita la traduzione italiana. 
Orgoglio paterno per la sua Kharkiv. Mi dica Zhadan, a est della città da quattro anni c'è un confine invisibile, incerto, mobile e violento. E' quello del Donbass. Le ci va mai in zona di guerra?
Ci sono stato l'ultima volta non più di un mese fa. Sono andato nella cittadina di Adivka. Dista solo 20 chilometri da Donetzk. Di fatto è la periferia di Donetsk, ma per adesso è ancora controllata dal nostro esercito.
E lì abbiamo fatto un festival culturale. Abbiamo fatto una serie di letture pubbliche in biblioteca. E naturalmente un concerto con la nostra band, i <Cani nello Spazio>. Nel Donbass io ci vado regolarmente. Sia perché è dove abitano i miei genitori, e anche perché raccolgo fondi attraverso un'associazione che fa interventi di volontariato in zona di guerra. Ci occupiamo di sostenere la cultura e la formazione.
Una città particolare. Nel suo stadio, quello della squadra locale che si chiama Metallist, la squadra più titolata e ben nota anche in Europa è quella del Donetsk, la capitale separatista filorussa.
Si è vero, siamo in una situazione complessa. I tifosi vengono dal Donbass a vedere le partite dello Shaktàr Donetzk che si giocano nel nostro stadio di Kharkiv. E forse tra di loro ci sono anche i simpatizzanti filorussi. Ma di certo non possiamo considerare filorussi tutti sostenitori dello Shaktàr. Gli ultras sono accesi filo-ucraini.
Dietro alle squadre e alle casacche c'è però sicuramente una questione di persone. Il proprietario dello Shaktàr Donetzk si chiama Rinat Achmetov. E' l'uomo più ricco del paese. Un'oligarca ucraino. Ricchissimo e di cui nessuno capisce quale posizione abbia rispetto alla guerra.
Ma è anche vero che la rivalità tra Kharkiv e Donetzk c'era anche prima della guerra. E' normale che sia tensione sportiva tra due città vicine.
E quando finirà questa guerra? Finirà quando gli ucraini di entrambe le parti torneranno a parlarsi direttamente?
No, non la metterei in questi termini. Non credo che gli ucraini debbano risolvere tra loro la questione. Questo Non è un conflitto interno ucraino. Io dico che questa è guerra tra Ucraina e Russia, non un conflitto interno. E l'Ucraina non potrà mai risolvere questo conflitto fino a quando le truppe russe non lasceranno il Donbass e la Crimea. Non potrà finire fino a quando il governo di Putin continuerà a finanziare questa guerra.
Sia ben chiaro, non intendo negare che in Ucraina ci siano persone che hanno un'idea diversa su ciò che accade. E forse uno dei compiti che dovrà affrontare il nostro paese sarà anche quello di capire come far convivere persone che hanno una visione diversa del futuro dell'Ucraina.
Tra i suoi personaggi ce n'è uno che sente particolarmente vicino?
Difficile scegliere. Se proprio devo fare una scelta dico Bob. E' l'unico personaggio che esce dalla città. Una città che a volte appare come una fortezza medievale. Nessuno esce, tutti restano all'interno delle mura. Bob invece parte, e se ne va in America. Per lui però si tratterà di un viaggio drammatico: dovrà affrontare il mondo dei morti, una sorta di viaggio mitologico. Bob parte, ma è anche quello che sceglie di tornare. È aperto verso il mondo, non ne ha paura. Non è chiuso in questa geografia urbana. Ma allo stesso tempo ama il suo spazio intimo e le sue radici. Bob tornerà a casa perché guidato dall'amore. Amore per la geografia, per la città, per una donna. Ecco perché Bob mi sembra quello che meno di altri rischia di perdersi. Qualcuno che in fondo ha la certezza di rimare se stesso.   
Quindi posso chiamarla Bob?
No, no (RIDE) . Bob è uno che parte, che lascia la sua terra. Io viaggio molto ma torno sempre subito a casa.

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